Affreschi definiti da Pietro Zampetti “uno dei momenti più alti della pittura a fresco del Quattrocento marchigiano”
La Cappella, edificata per volere della Confraternita del Santissimo Crocifisso, sorge leggermente fuori dal centro storico, lungo la strada che collega Pergola a Fabriano.
Inizialmente chiusa su tre lati ed aperta su quello frontale3, nasce come edicola viaria in cui i fedeli e i viandanti hanno lasciato come traccia del loro passaggio firme, date, località e preghiere. Non si conosce con certezza il motivo per il quale la Cappella abbia assunto il nome di Palazzolo. Stando a ciò che ci riporta Luigi Nicoletti4, ciò potrebbe essere dovuto al fatto che dinanzi ad essa, sull’altro lato della strada, sorgeva il Palatio de Plano, ovvero la sede in cui il podestà amministrava la giustizia. Documenti attestano però l’esistenza di tale edificio all’interno delle mura cittadine5, quindi questa supposizione sembra alquanto improbabile. Un’altra ipotesi è che il toponimo Palazzolo potrebbe derivare dal soprannome con cui in documenti settecenteschi veniva chiamato il contadino che lavorava le terre appartenenti alla Confraternita del Santissimo Crocifisso ed abitava nella casa colonica annessa all’oratorio.
Entrando nel piccolo ambiente si rimane affascinati dalla vista degli affreschi definiti da Pietro Zampetti “uno dei momenti più alti della pittura a fresco del Quattrocento marchigiano”. Visite pastorali seicentesche assegnavano le pitture a Raffaello6, attribuzione ripresa anche nei primi anni del Novecento, fino a che Lionello Venturi nel 1915 riconobbe nell’opera la mano del severinate Lorenzo d’Alessandro7 (San Severino Marche, locale è che il suo primo maestro sia stato Bartolomeo di Antonio 1445 ca. – 1501) proponendo come datazione il decennio 1485-1495, cronologia che poi si è rivelata corretta grazie alla scoperta di una scritta posta sotto la figura di San Sebastiano8. Nella parete di fondo è raffigurata l’Ascensione di Cristo tra gli Apostoli inginocchiati, la Madonna, i profeti Enoc ed Elia e due santi posti a protezione della comunità vestiti in abiti quattrocenteschi: San Secondo (a sinistra di chi guarda) con il modellino della città in mano ad indicare il suo ruolo di protettore e San Sebastiano invocato contro le pestilenze9, in passato molto frequenti, con una freccia ed un corto pugnale nelle mani. Al centro dell’affollata scena il Cristo, avvolto in un manto bianco, ascende al cielo con le braccia aperte e il capo rivolto verso l’alto. Nella parte bassa della composizione vi è un finto drappo che sembra collocare i personaggi in una sorta di palcoscenico teatrale, enfatizzando il senso scenografico della rappresentazione. Nel soffitto a crociera erano dipinti i quattro evangelisti, dei quali rimangono solo San Marco e San Giovanni posti all’interno di tavoli da scrittura e riconoscibili dai rispettivi simboli iconografici. Dal punto di vista stilistico negli affreschi del Palazzolo Lorenzo utilizza un linguaggio per lui nuovo, riprendendo elementi della tradizione gotica, molto diffusi nella sua città natale, riscontrabili soprattutto nella figura molto allungata del Cristo e nel turbinoso senso di movimento, nei panneggi svolazzanti e nell’eleganza ricercata di alcune figure. Nella parete sinistra dell’oratorio le pitture sono scomparse totalmente, mentre in quella destra, divisa in tre zone, sono ancora presenti l’Annunciazione nella lunetta superiore, la Trinità e una Madonna in trono con il Bambino nei due riquadri sottostanti.
Questi affreschi, successivi e databili al primo decennio del Cinquecento, non sono stati realizzati da Lorenzo d’Alessandro ma da un altro artista. Attribuiti in un primo momento al pittore umbro Bernardino di Mariotto10 (Perugia, 1478 ca. – 1566), sono stati poi ricondotti all’attività di un anonimo pittore, probabilmente di origine umbra e molto attivo nelle Valli del Cesano e del Metauro all’inizio del Cinquecento, denominato Maestro del Palazzolo proprio per gli affreschi pergolesi. Si tratta di una personalità artistica che risente stilisticamente dell’influenza del Perugino e del Pinturicchio, oltre che dello stesso Bernardino (anzi potrebbe essersi formato nella sua bottega), e che mostra dei legami con la tradizione figurativa marchigiana, soprattutto rimandi alla lezione di Giovanni Santi.
I tre affreschi sono racchiusi da finte architetture decorate a grottesche e caratterizzati da una limitata resa dell’effetto di profondità dello spazio. La figura della Vergine riprende il modello peruginesco, con un volto ovale, naso abbastanza delineato, la cui linea prosegue nelle arcate sopracciliari, labbra piccole e carnose, e capelli raccolti ai lati del volto e intrecciati al velo. L’Eterno Padre, caratterizzato da una folta capigliatura bianca le cui estremità somigliano a delle radici, è molto somigliante a quello dipinto nell’affresco di Mercatello sul Metauro11, databile alla fine del XV secolo e ricondotto da Bonita Cleri al medesimo artista.
Museo dei Bronzi Dorati della Città di Pergola
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